UNA PREZIOSA TESTIMONE SCOMPARSA:
EMILIENNE GUEGUEN

 

Emilienne-Marie Gueguen è deceduta a Parigi tre mesi fa, il 15 dicembre 2005.
Con lei scompare un’altra testimone – e non certo di secondo piano – della vita di Albertine Sarrazin.
Si erano conosciute al Buon Pastore di Marsiglia, riformatorio in cui  nel 1952 il padre adottivo di Albertine, tenente colonnello medico Amédée Renoux, aveva fatto rinchiudere la figlia ( contro il parere del consulente del giudice per i minorenni), non sentendosi più in grado di impartire un’educazione conveniente a quella ragazzina indisciplinata e riottosa.
Emilienne Gueguen era approdata a questo riformatorio dopo un’infanzia difficile e un’adolescenza allo sbando. Le due compagne di sventura si erano legate rapidamente di una forte amicizia, costrette come erano a vivere all’interno di una struttura in cui entrambe si sentivano soffocare. Insieme avevano concordato l’evasione. Albertine sarebbe fuggita per prima, Emilienne l’avrebbe raggiunta a Parigi in un secondo momento.
Come sappiamo, il progetto ebbe puntuale realizzazione. Albertine evase sabato 11 luglio 1953, approfittando del fatto che era stata condotta fuori dal Buon Pastore per sostenere gli esami orali della prima parte del baccalauréat (equivalente del nostro esame di maturità; dunque, per gli esami di quinta ginnasio, se vogliamo fare un’equiparazione con il liceo classico italiano).
Subito dopo aver sostenuto e superato gli orali, Albertine scappa nel cortile interno del Liceo, raggiunge un’uscita secondaria e di qui prende il volo. In autostop raggiunge Parigi il 13 luglio, vigilia della Festa nazionale francese, dopo aver pagato in natura i vari passaggi ottenuti.
Emilienne, benché trasferita, subito dopo l’evasione di Albertine, dal Buon Pastore di Marsiglia a un altro riformatorio nel dipartimento Meurthe-et-Moselle, evade anche lei e, come da accordi, si porta a Parigi per presentarsi puntuale al rendez-vous con l’amica, a mezzanotte del 1 novembre 1953 in Place de la Concorde, sotto l’Obelisco.
Albertine ed Emilienne, dopo un mese e mezzo di furtarelli e di prostituzione per sopravvivere, decidono un salto di qualità: a mezzogiorno di venerdì 18 dicembre 1953 compiono una rapina nel negozio di abbigliamento “Les Robes de Claude”,  a Parigi, in via Mac-Mahon, 16. Nel corso dell’azione delittuosa, Emilienne, che impugna la pistola calibro 6,35 sottratta da Albertine al proprio padre adottivo, in preda all’emozione per un’impresa che è troppo grande per le giovani e inesperte protagoniste che la mettono in atto, spara un colpo e ferisce alla spalla destra la proprietaria della boutique, signorina Claude Chausson.
La rapina è fallita e le amiche fuggono, reggendo i vestiti che avevano provato nel negozio come pretesto. Emilienne è tanto sconvolta da continuare a tenere in mano la pistola anche per strada. Saranno arrestate insieme, due giorni dopo, nella notte fra il 19 e il 20 dicembre in boulevard Saint-Michel nel corso di una retata che condurrà al fermo anche di altre prostitute, sebbene sia sulla data che sul luogo dell’arresto vi siano versioni contrastanti, a seconda delle fonti cui i biografi hanno attinto. Indossano gli abiti che hanno trafugato dalla boutique.
In precedenza, il giorno stesso della fallita rapina, la signorina Chausson aveva descritto con molta precisione i capi di abbigliamento (un tailleur nero e un cappotto) sottratti dalle ragazze, quando gli ispettori della Brigade Criminelle si erano recati all’ospedale Marmottan, ove era stata ricoverata, per interrogarla. Altrettanto minuziosamente la commerciante aveva descritto corporatura e caratteristiche fisiche delle due ragazze. Del resto le differenze fra le due improvvisate rapinatrici balzano agli occhi: una è decisamente alta e imponente (ed è forse per questa maggior prestanza fisica che Albertine le ha affidato l’arma), mentre l’altra è indiscutibilmente bassa e, all’epoca, abbastanza in carne  (Emilienne misura m. 1,75 di altezza, mentre Albertine raggiunge appena m.1,47).
Condotte in ospedale per la ricognizione personale, la proprietaria della boutique non avrà alcuna esitazione nel riconoscere in Emilienne colei che reggeva in mano la pistola e che ha fatto fuoco contro di lei.
Le due amiche coetanee – hanno entrambe 16 anni – sono rinchiuse, in celle separate, nella sezione minorenni del carcere parigino di Fresnes. Non si vedranno più fino al 21 novembre 1955, data d’inizio del processo presso la Corte d’Assise minorile della Senna, in Parigi. Il dibattimento, molto rapido, si esaurirà in due udienze, il 21, appunto, e il 22 novembre. La sentenza, molto dura, condannerà Albertine – all’epoca ancora Anne-Marie Renoux – a 7 anni di reclusione, mentre Emilienne dovrà scontare 5 anni di carcere. La differenza di pena fra le due giovani ragazze, nonostante la Corte abbia accertato che a ferire la signorina Chausson era stata Emilienne, fu spiegata con il diverso ruolo che, a giudizio della Corte, avevano rivestito le due minorenni e con la diversa pericolosità sociale delle due: l’una, Albertine, fu considerata la personalità forte e dominante, l’ideatrice del progetto criminoso, mentre l’altra, Emilienne, un’esecutrice d’ordini, una personalità scialba e in qualche modo dipendente, se non proprio succube.
Trasferite, dopo la sentenza, in carceri diverse, le due amiche non avranno più contatti, si perderanno di vista fino al giorno in cui Albertine, divenuta celebre scrittrice e salita alla ribalta della notorietà con i suoi romanzi (siamo sul finire del 1965), non sarà nuovamente ricercata con insistenza da Emilienne.
L’autrice de “L’Astragalo” per un certo tempo non risponderà alle lettere di Emilienne che sollecitano un incontro, poi, anche dietro pressioni del marito Julien, si deciderà a rispondere e a incontrarsi con lei a Parigi, città, sia detto per inciso, in cui Albertine non poteva recarsi né tanto meno risiedere, a causa del divieto di soggiorno inflittole, quale pena accessoria, per le condanne penali riportate. Di conseguenza, ogni volta in cui aveva necessità di portarsi a Parigi (per esempio in occasione di presentazioni dei suoi libri) da Montpellier, ove aveva stabilito la sua residenza – anche, ma non solo, perché località in cui a lei non era interdetto il soggiorno -, doveva chiedere una deroga al Ministero dell’Interno.
Le due compagne di sventura al tempo del Buon Pastore di Marsiglia si incontreranno a Parigi più volte, in due occasioni anche con i rispettivi mariti, e saranno sempre incontri molto cordiali.
A detta di Julien Sarrazin, non tutte le puntate a Parigi di Albertine avevano il crisma dell’Autorità! Ma si sa. Per Albertine, infrangere i divieti, specie quelli di legge, era un piacere sottile.
Ma anche l’intesa con l’amica ritrovata sembra non durare a lungo. Avanzo il beneficio del dubbio per tale affermazione. E questo per naturale prudenza di giudizio e per conoscenza, dopo anni di letture di documenti di Albertine e riguardanti Albertine, oltreché di ascolto di testimonianze di chi l’ha conosciuta, della sua duplice personalità (si veda in proposito la mia prefazione a “La via traversa”).
Da alcune considerazioni di Albertine in una lettera a una lettrice diventata sua amica, del 2 maggio 1967 (in: “Lettres de la vie littéraire, 1965-1967, J.J. Pauvert éditeur, 1974, riedite da Pauvert nel 2001), dunque due mesi prima della sua improvvisa scomparsa,  si potrebbe arguire che fra le due amiche doveva esserci stato qualche screzio, o almeno qualche incomprensione. Ma forse non è saggio dare troppo peso alle osservazioni di Albertine in questa lettera. Sappiamo che spesso amava fare esercizi di scrittura con i suoi corrispondenti (si veda, al riguardo, la testimonianaza di Jean Castelli), che talora indulgeva al piacere del narcisismo, per cui è prudente astenersi da illazioni. Tanto più che nella stessa lettera la scrittrice avverte: “ Mi è stato chiesto di rivedere quella che fu, posso dirlo senza tema di essere da lei fraintesa, l’amore dei miei quindici anni, vale a dire l’amicizia totale “nel bene e nel male”, colei con cui ho pensato, con la maggior fondatezza che esista al mondo, di vivere, accanto o lungi dalle vanità, e con cui alla fine ho subìto lo scacco in Corte d’Assise… Il che significa anni, per tutte e due, di vagabondaggio, di prigione, di giudici istruttori, di merda e di felicità, di disperazione e di allegrie…”. Ma poi conclude con malevolenza: “Ebbene, quando vado a casa sua mi sento come se recitassi in teatro. Ha un marito, tre bambini, una casa, della grana, è diventata magra e incredibilmente chic, parla come se avesse frequentato corsi di dizione… aveva questa voce nel ’53, lo so, ma non la riconosco. (Traduzione di A. Giungi)). Perché questo stupefacente mutamento di atteggiamento?
Evitiamo la risposta.
Un dato certo è che Emilienne, pur avvertita telefonicamente da Julien,  non volle prendere parte alle esequie di Albertine, di cui, tra l’altro, ignorava le condizioni di salute: segno evidente di un silenzio che era sceso tra loro. Un altro segnale del raffreddamento dei rapporti?
Sospendiamo il giudizio.
Ma chi era Emilienne, che cosa sappiamo di lei, oltre quello che ha rappresentato per Albertine, e non è poco se, con tutta evidenza, è a lei che la scrittrice si è ispirata per il personaggio di Liliane ne “La via traversa”? E anche la scelta, da parte della scrittrice, del nome “Liliane” a designare  Emilienne nel romanzo, non è certo casuale.
Nel documento falso esibito da Emilienne al momento dell’arresto, dopo la rapina di rue Mac-Mahon, figurava il nome di Liliane Fiaut, 24 anni. Quello posseduto da Albertine, lo si riporta per completezza  d’informazione, recava le generalità di Ginette Guiloiseau, 21 anni.
Emilienne-Marie Gueguen, nata il 28 aprile 1937 a Brest-Recouvrance, è figlia di Emile, palombaro, e di Marguerite Paulmarch.
La madre è afflitta da gravi disturbi psichici, tanto che finirà i suoi giorni in un ospedale psichiatrico, il padre è dedito al suo lavoro e non ha molto tempo da dedicare all’educazione della ragazzina, che ha uno spirito molto indipendente e avventuroso. A 13 anni abbandona famiglia e  città natale per recarsi a Parigi. Ha sottratto del denaro ai suoi genitori ed è decisa a “vivere la sua vita”. Il fascino di Parigi è troppo allettante perché l’adolescente sappia sottrarvisi. Nel quartiere latino incontra uno studente, con cui allaccia subito una relazione. Vive con lui per un mese e mezzo, poi viene arrestata. Compare per la prima volta davanti al tribunale per i minorenni. Dopodiché è affidata a Centri di rieducazione per minorenni: Chevilly- Larue, da cui evade per ben due volte (si veda l’accenno a questo Centro in: Albertine Sarrazin, La via traversa, La Tartaruga edizioni, 2004, pag. 38), Buon Pastore di Marsiglia, ove incontra la futura scrittrice che all’epoca si chiamava, non dimentichiamolo, Anne-Marie Renoux, chiamata Anne o Annie quando viveva con i propri genitori adottivi, ribattezzata Anick dalle compagne del riformatorio marsigliese e conosciuta come Annicka fra le “femme de plaisir” di Saint Germain des Prés, allorché vi bazzicava in cerca di clienti.
Scontata la condanna, e non per intero (solo tre anni), Emilienne esce dal carcere. Ad aspettarla al portone c’è un prete svizzero, che pare le scrivesse durante la detenzione. Il religioso, gettata la tonaca alle ortiche, come usava dire, sposa Emilienne. Si stabiliscono a Parigi, hanno tre figli, come ha testimoniato Julien, nel corso di una lunga intervista rilasciata il 18 agosto 1988 ad  Antonio Bueno-Garcia, studioso spagnolo di Albertine Sarrazin, cui ha dedicato la sua tesi di laurea (“Le Passe-peine d’Albertine Sarrazin” Università di Valladolid, Dipartimento di Filologia francese, 1987) e un libro (“Albertine Sarrazin: la autobiografia en la prision”, Valladolid, Secretariado de Publicaciones, Universidad, 1995).
Tre anni dopo quell’intervista, il 13 luglio 1991 Julien Sarrazin morirà nell’ospedale Saint-Charles di Montpellier, stroncato da un cancro al cervello.
Le notizie relative alla vita di Emilienne, dopo il suo matrimonio e fino all’epoca in cui le amiche di un tempo si rivedranno per la prima volta dopo dodici anni (Parigi, 25 novembre 1965), sono scarse e affidate ai ricordi di Julien contenuti nella testimonianza a Bueno-Garcia di cui sopra si è fatto cenno.
Posso aggiungere che so per certo che Emilienne, in data imprecisata, ma certamente diversi anni dopo la morte di Albertine, chiese a Julien di incontrarsi con lei. Si videro a Montpellier. Ragione e argomento del colloquio pare fosse il timore di Emilienne che una sua figlia potesse rivolgersi a Julien per avere notizie sul passato della madre e la conseguente, pressante raccomandazione a mantenere il più assoluto silenzio al riguardo.
Nella sua biografia, Jacques Layani (“Albertine Sarrazin: une vie”, Ecriture, Paris, 2001) ci dice di aver incontrato Emilienne, che designa con il secondo prenome, “Marie”, a Parigi nell’aprile del 2001. Nel corso dell’intervista, Emilienne nega espressamente di aver avuto una relazione omosessuale con Albertine (“Contrariamente a quanto è stato detto, non abbiamo mai avuto relazioni omosessuali. E’ capitato che in prigione io abbia fatto delle carezze a delle ragazze, ma non ho mai avuto relazioni vere e proprie, e  certo non con Anick. Avevamo tra noi un rapporto di grande fusione. Eravamo delle bambine. Nei momenti più neri, c’era una connivenza di cuore profonda”) (Traduzione di A.Giungi).
Ho chiesto a Layani se avesse omesso, nel riferire del suo colloquio con Emilienne-Marie, qualche particolare, magari per un accordo intervenuto con l’intervistata.
“No”, è stata la risposta molto decisa. Ha aggiunto che l’incontro, avvenuto in un bar parigino, era stato piuttosto breve, che Emilienne sembrava impaziente di concludere la chiacchierata, che era molto restia ad aprirsi.
Ho capito che Jacques Layani era propenso a non prestare molta fiducia alle parole di Emilienne, specie per quanto concerne la ferma negazione di rapporti intimi tra le due ragazze, così comuni, scrive, “per noia e mancanza d’altro, in collegi e prigioni”.
Per il vero, ma non vorrei soffermarmi oltre su un aspetto che non ritengo particolarmente degno d’interesse, Julien Sarrazin, nell’intervista ad Antonio Bueno-Garcia sopra ricordata, ad una precisa domanda dell’intervistatore se Albertine gli avesse qualche volta parlato di suoi rapporti lesbici, per così dire, con Emilienne, dopo una lieve esitazione, riempita da una sorsata di una bevanda alcolica, risponde testualmente: “ Ma questa è cronaca spicciola! Albertine me l’ha proprio detto, che lei non ha mai avuto rapporti con Emilienne – con altre ragazze, sì!, Albertine cercava delle ragazze per Emilienne, etc. – ma, fra Emilienne e Albertine non c’è mai stato niente! In ogni caso, ti ho raccontato delle storie molto osé, se ci fosse stato qualcosa, Albertine me l’avrebbe detto, ma se lei mi dice: “tra noi non c’è mai stato niente “ vuol dire che non c’è stato niente, è così, anche se si scrivevano delle parole d’amore… Era qualcosa, come dire, un affetto, un amore platonico. Certo che nessuno ci crede, eppure è così” (Traduzione di A. Giungi).
Un platonico amore adolescenziale fra due ragazze che si sentivano sole e in guerra con la società, la tesi di Julien.
Un altro aspetto controverso, e questo sì, a mio giudizio, di maggior rilevanza, riguarda la verità storica dei fatti, tali quali si svolsero quel 18 dicembre 1953, in rue Mac-Mahon.
Fu veramente Emilienne a sparare contro la proprietaria della boutique che intendevano rapinare, o fu Albertine, e l’amica se ne assunse la responsabilità per alleggerire la posizione della complice?
Il dubbio è sorto allorché Jean Castelli, già vicedirettore generale della casa editrice parigina Jean-Jacques Pauvert, confidò alla giovane regista francese Sandrine Dumarais di aver saputo da Julien che, secondo lui, a sparare quel giorno fu Albertine.
Sandrine Dumarais, appassionata cultrice di tutto ciò che riguarda Albertine e Julien Sarrazin, ha girato un bel documentario, dal titolo “Albertine Sarrazin: le roman d’une vie” (documentario che la regista ha avuto la bontà di inviarmi in video-cassetta), molto lodato, e a ragione, dalla stampa francese. Il documentario, a colori, della durata di 52 minuti  è stato trasmesso dalla televisione francese (France 3 sud e France 3 national) il 28 settembre 2004.
Il giorno dopo, alle 8.30 del  mattino, Sandrine Dumarais era svegliata da una telefonata di Emilienne Gueguen che desiderava felicitarsi con lei per l’alta qualità del documentario, spingendosi ad affermare che era la prima volta che riconosceva Albertine in un film (con evidente riferimento ai film tratti dai romanzi L’astragalo e La Cavale, il primo del 1968 per la regia di Guy Casaril, con Marlène Jobert nella parte della protagonista Anne e con Horst Bucholz nella parte di Julien, il secondo del 1971 per la regia di Michel Mitrani con Juliet Berto e Jean-Claude Bouillon nei due ruoli principali. Entrambi i film non sono mai stati distribuiti in Italia).
Era il segno di un apprezzamento che scioglieva una  certa ritrosia, se non proprio riluttanza a parlare, manifestata da Emilienne in precedenti contatti telefonici.
Era reticente, Emilienne, almeno nei primi approcci, ma le piaceva parlare di Albertine e ne parlava, mi scrive Sandrine Dumarais, “in modo tenero e un po’ “filosofico”, un po’ strano, invero…”
In seguito la regista francese si era permessa di porle un quesito molto preciso: le aveva chiesto chi avesse sparato alla signorina Chausson nel corso della fallita rapina. E la risposta non si era fatta attendere: “La versione ufficiale è quella giusta”. Un’affermazione indiretta, ma inequivocabile per confermare le risultanze processuali, e cioè che era lei, Emilienne, che aveva sparato.
Anche psicologicamente la risposta rientra nei canoni: spesso l’autore di un reato, pur dopo molti anni dalla commissione del delitto, ha qualche difficoltà a dare una risposta diretta, il rimorso dell’evento pesandogli ancora addosso.
Proprio nel corso di quella telefonata mattutina, Sandrine Dumarais ed Emilienne avevano convenuto di ritelefonarsi presto per stabilire un appuntamento e andare a bere insieme una tazza di tè (fino ad allora c’erano state soltanto comunicazioni telefoniche). Sarebbe stata, dunque, la prima volta in cui la giovane regista avrebbe incontrato gli occhi di colei che era stata un “amore” di gioventù  di Albertine. E a voce, quando si è creato fra le persone un clima di simpatia sulla base della stima – e la telefonata di Emilienne è un chiaro attestato di stima –, è più facile che certe barriere cadano e che le confidenze sgorghino spontanee.
Purtroppo, come mi ha scritto Sandrine Dumarais il 26 dicembre 2005, il tempo è trascorso senza che la telefonata che doveva stabilire l’appuntamento avvenisse, e al rientro a Parigi, dopo una settimana trascorsa nel sud della Francia, la regista trovava ad attenderla nella cassetta delle lettere un annuncio ferale.
Emilienne-Marie Gueguen era morta a Parigi il 15 dicembre 2005. Aveva 68 anni.
Con lei scompare una preziosa testimone della vicenda umana di Albertine Sarrazin.
Ho telefonato a Jean Castelli, subito dopo aver ricevuto la comunicazione della scomparsa di Emilienne. Non ne sapeva niente, pur avendo parlato per telefono non molto tempo prima con Sandrine Dumarais. Sembrava quasi stupito. Mi ha ripetuto ciò che già sapevo sulla confidenza fattagli da Julien Sarrazin. Ha concluso: “Non sapremo mai quale è la verità”. Gli ho chiesto perché Emilienne avrebbe dovuto addossarsi la responsabilità di un fatto che non aveva commesso. Mi ha risposto che le due ragazze si sarebbero messe preventivamente d’accordo su quella versione per alleggerire la posizione di Albertine, che già aveva dei precedenti. Non ho replicato.
So che Albertine, all’epoca, aveva gli stessi precedenti di Emilienne (evasione dal Buon Pastore per entrambe, furtarelli commessi insieme). Perché, dunque, la posizione di Albertine avrebbe dovuto essere più pesante? Ma so anche, e questa è la prova principe, incontrovertibile, che nella quasi immediatezza dell’evento delittuoso (tre giorni dopo), la signorina Chausson, nel corso della ricognizione effettuata in ospedale dalla polizia, non aveva avuto alcun dubbio nell’indicare in Emilienne colei che reggeva in mano l’arma che le sparò. Versione confermata un paio d’anni dopo nel corso di una delle due udienze dibattimentali. Che interesse avrebbe avuto Claude Chausson a indicare l’una piuttosto che l’altra delle ragazze? E stante la netta differenza di corporatura fra le due imputate, come avrebbe potuto sbagliarsi? L’errore di persona, in questo caso, è senz’altro da escludere.
L’ipotesi di Julien, riferita da Jean Castelli, appare, dunque, difficilmente sostenibile.
Di più. Nell’intervista di Antonio Bueno-Garcia sopra citata, e di cui posseggo la trascrizione, ad una domanda dell’intervistatore: “Albertine, covava un po’ di rancore (per Emilienne) fin dall’epoca di Fresnes, per aver subìto una condanna più pesante di quella dell’amica?”, Julien risponde: “No, non credo… Sì, era rimasta comunque un po’ nauseata… – ma non era poi granché, tutto sommato, il male che era stato fatto!- ma non è Albertine che aveva sparato, era Emilienne! Albertine era andata a rubare la pistola del colonnello, per cui, per la giustizia, c’è la premeditazione, i giudici… lei ha preso sette anni e Emilienne ne ha avuti solo cinque ed è uscita dopo tre anni, mentre Albertine si è fatta i sette anni!”.
Sull’argomento non mi sembra ci sia molto da aggiungere, penso anzi sia il caso di archiviarlo.
Resta, questo sì, il rimpianto per la scomparsa di Emilienne, per una testimone preziosa che non potrà più svelarci qualcosa di Albertine e, a detta di Julien, Emilienne possedeva moltissime lettere di Anick. Che fine faranno?

 

Marzo 2006

Aldo Giungi

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