LA VITA DI ALBERTINE SARRAZIN

Il 17 settembre 1937 Albertine Sarrazin nasceva ad Algeri, da genitori ignoti, una bambina cui fu imposto, dal brefotrofio al quale era stata affidata, il nome di Albertine Damien.

Sulle origini della futura scrittrice sono state fatte varie e disparate illazioni.

La madre adottiva, Thérèse Françoise Théodore Gantelme-Allègre, sostenne di aver saputo, dal direttore del brefotrofio che accolse la neonata, che la madre naturale era una spagnola quindicenne, a lui ben nota, che non aveva esatta cognizione di quello che faceva.

Quanto al padre naturale, si è detto potesse essere un uomo di sangue arabo.

Antonio Bueno-Garcia, nel suo “Albertine Sarrazin – la autobiografia en la prision”, Universidad de Valladolid, Secretariado de Publicaciones, Valladolid, 1995 e Jacques Layani nel suo “Albertine Sarrazin – une vie”, Ecriture, Paris, 2001, sostengono, invece, sulla base di dichiarazioni rilasciate da Julien Sarrazin ( marito della scrittrice) molti anni dopo la morte della moglie, che il padre naturale potrebbe essere lo stesso padre adottivo, tenente colonnello medico Amédée Maurice Antoine Renoux, francese di Lione. Per la precisione, mentre il primo studioso si limita ad annoverare fra le varie ipotesi possibili quanto confidatogli direttamente da Julien, il secondo dà per certa la paternità dell’ufficiale medico sul fondamento di una testimonianza orale “de relato”, da lui raccolta.

Albertine Sarrazin, parlando di sé, scrisse una volta che nelle sue vene scorreva sangue idalgo-arabo.

A diciassette mesi, nel febbraio del 1939, la piccola è adottata da un’anziana coppia senza figli, i signori Renoux – lui, direttore dell’ospedale militare francese di Algeri, cinquantottenne all’epoca dell’adozione, la moglie, una casalinga, di tre anni più giovane del marito – che le danno il proprio cognome e le mutano il nome da Albertine in Anne-Marie.

Di notevole intelligenza e dotata di uno spirito molto vivace, oltre che di un’indole assai indipendente, Anne-Marie Renoux evidenzia, con il trascorrere del tempo, una sempre più acuta insofferenza al tran tran grigio e monotono dell’ambiente familiare.

A sette anni verrà a conoscenza di essere figlia adottiva nella maniera meno adatta alla psicologia di una bambina: attraverso una disputa familiare, nel corso della quale il colonnello urlerà: “Questo è ciò che si ottiene a fare del bene ai bambini raccattati dalla strada!”. La reazione della piccola, stando a una testimonianza della madre adottiva, è davvero sorprendente, data l’età: “Voi non mi siete niente e io non vi devo niente!”. E’ probabile, però, che la signora Renoux abbia involontariamente anticipato di qualche anno un’affermazione che la figlia adottiva ha certamente fatto. Secondo quanto, infatti, riferito dalla stessa scrittrice a una giornalista del settimanale Elle, Marie Françoise Leclere (Elle, n. 1103, febbraio 1967), l’episodio in questione avvenne allorché aveva undici anni, e non sette. Più plausibile, dunque, a quell’età la replica polemica, già in stile sarraziniano, ci verrebbe da dire, dell’adolescente.

Il temperamento spiccatamente artistico della piccola si manifesta fino dalle scuole elementari con la composizione di poesiole, con disegni ad acquarello e con una non comune predisposizione alla musica, che coltiverà studiando e suonando il violino.

Il colonnello medico, che già dal 1941 non è più in servizio, decide nel 1947 di lasciare l’Algeria, all’epoca, ricordiamolo, una provincia francese, e di fare ritorno, con la famiglia, in Francia. Si stabilirà ad Aix-en-Provence, in un appartamento semiammobiliato, in rue de la Paix n. 28.

Oltre al déracinement, un evento drammatico sconvolge la vita della piccola Anne-Marie all’età di soli 10 anni: la violenza carnale subìta, mentre è in vacanza nella casa di un fratello del genitore adottivo, da un membro della famiglia Renoux di una quarantina d’anni, di nome Albert. Del conseguente e repentino mutamento di carattere della bambina si accorge persino il distratto colonnello, ma senza chiedersene la ragione.

A 14 anni, esasperata dalla disciplina ferrea del padre adottivo, che si manifesta attraverso l’imposizione di continui divieti, fugge di casa per due giorni. E non è la prima fuga. In precedenza si era assentata anche per un maggiore numero di giorni, ma, probabilmente, è questa la classica goccia che fa traboccare il vaso della pazienza paterna.

I rapporti tra genitori e figlia adottiva erano sempre stati difficili e tesi, soprattutto dopo che la bambina era venuta a conoscenza di non essere figlia naturale dei suoi genitori. Insofferente a ogni forma di disciplina, ribelle, aggressiva, e non solo a parole, nei confronti dei suoi educatori cui dà sempre più filo da torcere col trascorrere del tempo, Anne-Marie si rivela obiettivamente una ragazzina  molto difficile da gestire per i genitori adottivi, tenuto conto anche della loro età avanzata.

Avvalendosi del diritto di correzione paterna, ma contro il parere del consulente del giudice del Tribunale per i minorenni di Marsiglia, il colonnello medico ottiene che la figlia adottiva sia rinchiusa in un riformatorio e vi continui colà gli studi.

Anne-Marie Renoux, quindicenne, scortata da due agenti della polizia di Aix-en-Provence, il 20 novembre 1952 è condotta al Buon Pastore di Marsiglia.

Evasa otto mesi dopo, nel luglio del 1953, subito dopo aver sostenuto e superato in un liceo di Marsiglia gli orali della prima parte dell’esame di baccalauréat, sezione B classica (corrispondente al nostro esame di quinta ginnasio) , raggiunge in autostop Parigi. Qui conduce una vita assai poco raccomandabile: senza appoggi, minorenne, ricercata, si dà a furtarelli e alla prostituzione per sopravvivere.

Il 18 Dicembre 1953, stanca di prostituirsi e decisa a compiere un salto di qualità nella malavita, tenta una rapina, con un’amica conosciuta al Buon Pastore, Emilienne Gueguen, in un negozio di abbigliamento, “Les Robes de Claude”, in rue Mac-Mahon n. 16 a Parigi.

La rapina fallisce: l’amica, che è armata della pistola d’ordinanza che Anne-Marie ha sottratto al suo genitore adottivo, ferisce alla spalla destra la proprietaria della boutique, signorina Claude Chausson, sessantacinquenne.

Arrestate entrambe due giorni dopo, sono rinchiuse, in celle separate, nel carcere di Fresnes, sezione femminile minorenni. L’arresto avviene nella notte fra il 19 e il 20 dicembre, probabilmente in boulevard Saint-Michel, nel corso di una retata della polizia del Buoncostume.

Anne-Marie Renoux subirà, nel processo celebrato due anni dopo (21-22 novembre 1955) davanti alla Corte d’Assise minorile della Senna, una condanna pesante, tenuto conto anche della minore età dell’imputata: sette anni di reclusione. La complice ed amica Emilienne, invece, se la caverà, si fa per dire, con cinque anni.

Dopo la sentenza di condanna definitiva, e precisamente il 12 gennaio del 1956, Anne-Marie Renoux è trasferita alla prigione-scuola di Doullens, nel dipartimento della Somme.

Val forse la pena precisare, a questo punto, che nel mese di ottobre di quello stesso anno 1956, e precisamente il 26 ottobre, Anne-Marie Renoux ritornerà ad essere Albertine Damien in virtù di sentenza del Tribunale civile di Aix-en-Provence che sancisce la revoca dell’adozione, come da istanza del padre adottivo. Il tutto a insaputa dell’interessata che ne verrà a conoscenza soltanto allorché preparerà i documenti per il matrimonio.

La condanna segna l’inizio per la futura scrittrice, che nel luglio del 1955 aveva sostenuto con successo la seconda parte dell’esame di baccalauréat (corrispondente al nostro esame di maturità), sezione B filosofia, presso il liceo Michelet di Vanves, di una lunga serie di arresti e scarcerazioni. Scriverà nella presentazione del suo romanzo La Cavale: “La libertà e il carcere sono per me come due vestiti portati in alternanza”.

Complessivamente rimarrà rinchiusa per oltre otto anni della sua breve esistenza.

Evadendo dalla prigione-scuola di Doullens il 19 aprile del 1957, Albertine Damien si frattura, nel volo di oltre dieci metri alla ricerca della libertà, un ossicino del tarso nel piede, essenziale alla deambulazione, l’astragalo (che diverrà poi il titolo del romanzo suo più conosciuto). La fuga sarebbe irrimediabilmente compromessa, se un automobilista che passa per caso in quei paraggi non si fermasse a soccorrerla. E’ Julien Sarrazin, piccolo malavitoso uscito da poco dal carcere. Si prende cura di lei, la nasconde, ne paga la latitanza presso persone venali che si prestano a dare ospitalità alla ricercata dietro lauti compensi.

L’incontro con Julien Sarrazin si rivelerà per Albertine decisivo.

L’amore profondo e duraturo che la unirà a quest’uomo, divenuto il  7 febbraio del 1959 suo marito, e che le darà finalmente un cognome definitivo, dopo la revoca dell’adozione, sarà un punto fermo durante il resto della sua tormentata vita.

Prima del matrimonio (matrimonio-lampo, durato dieci minuti, davanti all’ufficiale di stato civile del Comune di Amiens, ove Albertine, reclusa nel carcere di quella città, è stata condotta sotto scorta, mentre Julien, una volta tanto, è libero), durante la latitanza dopo l’evasione dalla prigione-scuola di Doullens, Albertine era stata però costretta a riprendere la strada del marciapiede per far fronte alle spese del proprio mantenimento, poiché Julien, arrestato ancora una volta, non era più in grado di provvedervi.

Proprio da un incontro mercenario avvenuto in questo periodo, nel mese di maggio del 1958, nascerà l’amicizia con un uomo semplice, un onesto meccanico, Maurice Bouvier (il personaggio di Jean ne L’astragalo e quello dello “zio” ne La via traversa), che si dimostrerà, lungo l’intero arco della vita della scrittrice, sostegno fedele e fidato.

Nel corso delle sue detenzioni, Albertine Sarrazin scrive due romanzi, La Cavale e L’astragalo che, pubblicati entrambi a distanza di una settimana l’uno dall’altro dall’editore parigino Jean-Jacques Pauvert nell’autunno del 1965, conosceranno immediatamente un enorme successo. Nel 1966 sarà conferito alla scrittrice, per il romanzo La Cavale, un prestigioso premio letterario: il Premio delle Quattro Giurie (Femina, Renaudot, Goncourt, Interallié).

Albertine e suo marito non vivranno che brevi spezzoni di vita insieme perché il carcere riprenderà ora l’una ora l’altro (talvolta entrambi contemporaneamente), in una disperante altalena, fino al 9 agosto del 1964. A partire da quella data nessuno dei due rimetterà più piede nel “paese freddo”, come la scrittrice amava definire la prigione.

Finalmente liberi entrambi, Albertine e Julien non saranno felici a lungo: la scrittrice avrà giusto il tempo di scrivere il suo terzo romanzo, anch’esso autobiografico, La via traversa, pubblicato sempre da Jean-Jacques Pauvert sul finire di novembre del 1966 e che conoscerà, come i precedenti, un grande successo, e di vivere, pur sofferente per interventi chirurgici e ospedalizzazioni, poco meno di tre anni.

Andranno ad abitare, dapprima con Maurice Bouvier in un cascinale diroccato (Le Serret, il nome originario e quello di oggigiorno) da lui acquistato nelle Cévennes, ribattezzato dalla scrittrice La Tanière (e Julien pagherà abbondantemente la pigione per sé e per la moglie sgobbando alacremente da mane a sera per riattarlo, insieme con Maurice e con un manovale, come gustosamente narrato dalla scrittrice ne La via traversa), poi, da soli, a partire dal mese di luglio del  1965, in un piccolo appartamento preso in locazione a Montpellier, nel quartiere popolare chiamato Le Petit Bard.

Il 1° gennaio del 1967 Albertine e Julien si installeranno in una romita casa di campagna nella gariga della Linguadoca, vicino al paesino di Les Matelles, a 16 chilometri da Montpellier. Finalmente, grazie ai proventi dei diritti d’autore, Albertine è riuscita a comprarsi un’abitazione, e l’ha scelta, con Julien, lontano dal frastuono della città, in un luogo isolato ai piedi del Pic-Saint-Loup. E’ una colonica diroccata, che Julien si è dannato a ristrutturare, una piccola proprietà, disponendo la casa tutt’intorno di un vasto giardino. Non è ancora completamente riattata, certo, quel 1° gennaio del 1967,  ma il desiderio di solitudine è più forte di quello del comfort.

La scrittrice non potrà, però, godere molto della nuova casa, da lei ribattezzata L’Oratoire (il cui nome originario era “La Plaine”), perché la salute le dà numerosi problemi, che la costringono, nel breve volgere di sei mesi, a interventi chirurgici e a frequenti ospedalizzazioni.

Il 10 luglio del 1967 Albertine Sarrazin muore, a trent’anni non ancora compiuti, nella sala operatoria della clinica Saint-Roch di Montpellier, dove era stata ricoverata per l’ablazione di un rene.

Suo marito intraprende allora una lunga causa giudiziaria contro i medici – chirurgo e anestetista -, colpevoli a suo giudizio di gravi negligenze: vincerà la causa e otterrà un sia pur modesto risarcimento. Fonderà una casa editrice, la casa editrice Sarrazin appunto, per pubblicare gli inediti della moglie.

L’opera di Albertine Sarrazin è stata oggetto, dopo la sua morte, di numerosi saggi critici, tesi di laurea e di dottorato in Francia e all’estero, e anche di film: L’Astragale (1968), per la regia di Guy Casaril, interpretato da Marlène Jobert, nella parte di Anne-Albertine, Horst Bucholz in quella di Julien, e da Magali Noel, Claude Génia, Georges Géret; La Cavale (1971), per la regia di Michel Mitrani, con Juliet Berto e Jean-Claude Bouillon, nelle parti dei due protagonisti, e con Catherine Rouvel, Yvette Lebon, Henri Garcin, Judith Magre, Olga Georges-Picot, Fred Personne. I due film, malauguratamente, non sono mai stati distribuiti in Italia.

La bambina abbandonata, la ragazzina ribelle sempre in fuga, la derelitta ospite del “paese freddo”, ha oggi un posto di rilievo nella storia letteraria del Novecento francese, è, a ragione, considerata una pura scrittrice classica.

 

Marzo 2006

Aldo Giungi